Nella scuola… Cosa rende difficile una comunicazione?
Quando una comunicazione è difficile?
Quante energie ogni giorno vengono sprecate per sanare situazioni che, a mio avviso, si potrebbero davvero evitare!
Credo che il male, o meglio, il malessere nella scuola Primaria sia dovuto a svariati fattori, che mi accingo ad elencare:
1. la convivenza forzata di una molteplicità di docenti che vengono da un trascorso altamente articolato, sia in termini culturali che professionali. In questo contesto, il dover entrare in rapporto con persone così differenti aumenta la fragilità degli equilibri comunicativi;
2. la poca fiducia nelle tecnologie e in particolare in quelle di uso comune come l’utilizzo dell’e-mail per inviare messaggi;
3. la mancanza di: tempi, spazi, ruoli, intenti, ben definiti in partenza, per evitare situazioni come quelle descritte dai miei colleghi e da me, nei quali è evidente una generale confusione;
4. la pratica diffusa della gerontocrazia;
5. la parcellizzazione degli incarichi con il continuo passaggio di consegna;
6. l’improvvisazione operativa e comunicativa.
Considerando queste cause, credo che quella maggiormente scatenante sia la n. 3, ossia il fatto che non sempre risulta chiaro nei vari plessi scolastici: “Chi deve fare, cosa, dove, quando e perchè”.
Questo non è un gioco di parole, ma un primo passo verso una sana comunicazione, che ha bisogno successivamente dell’apporto di esperti relazionari _ che in Italia mancano_ capaci di sorvegliare e vegliare sugli scambi comunicativi.
Nel sistema scolastico svedese, ad esempio, esistono figure che insegnano ad interagire proficuamente con gli altri, osservando da un punto di vista esterno i vari approcci comunicativi.
In aggiunta ai fattori elencati, mi sento di dire che anche la presenza diinsegnanti, che detengono più incarichi all’interno della scuola, può influire sulla qualità comunicativa, in quanto ciò crea forti disparità professionali, oltreché fa disperdere il tempo in mansioni che allontanano da un lavoro centrato “sull’osservare con curiosità e ascoltare con interesse autentico” l’alunno che abbiamo di fronte_ per usare le parole della tutor.
E’ anche vero che il fatto di aver sperimentato la vita scolastica in altri paesi europei, mi fa convincere sempre più che le problematiche che emergono nella scuola sono decisamente un fenomeno tipicamente italiano.
Infatti, negli altri paesi europei esiste il maestro unico sia nelle scuole dell’Infanzia, sia nella Primaria.
Inoltre, in altre scuole superiori europee, all’interno dell’équipe, di solito viene designato un professore con il compito specifico di referente della vita di classe, pronto a riferire e a sanare le problematiche emergenti.
Confrontando inoltre la situazione italiana con le realtà europee, è evidente che in Italia esiste un fattore da considerare: la massiccia presenza di adulti che entrano a più titoli nella scuola: dal collaboratore, ai docenti, agli educatori, ad altri aiutanti, ai genitori, alla segreteria, agli inservienti...; tutto ciò contribuisce ad amplificare e complicare la comunicazione.
Con ciò non intendo dire che, nel “sistema Scuola primaria” ad esempio della Francia, non vi siano difficoltà comunicative, ma sicuramente le comunicazioni risultano più semplificate, meno interrelate e ad un solo livello perché minore è il numero degli interlocutori nel senso che su 10 classi esistono 10 insegnanti di cui uno è anche il direttore (non il capo degli insegnanti) per un giorno a settimana e, oltre ai genitori, non ci sono altre figure con le quali relazionarsi.
Pertanto, considerando realisticamente la scuola italiana, anche con le migliori intenzioni collaborative, con ruoli-spazi-tempi-scopi ben definiti, con una preparazione adeguata, senza l’uso di chiacchiere inutili, ma con assertività, si potrà migliorare la comunicazione fra le parti, ma penso che resterà un equilibrio destinato all’instabilità, data la vastità orizzontale e verticale nella quale si realizza.